doc


ABRUZZESI

Il gigante di Acciano

La storia di Giuseppe Catoni, meglio noto come il «Gigante di Acciano».

«[…] fu un gigante vero, dal corpo armonioso, dai muscoli d’acciaio, dotato di una forza al di sopra di ogni essere umano, insomma un “atleta grande” che fece parlare le nostrane ed estere genti».


(Silvio Di Giacomo, “Giuseppe Catoni – Gigante di Acciano”, Associazione Achillopoli, 1970).


Il Gigante nacque, il 18 novembre 1820, ad Acciano – comune della Provincia de L’Aquila, in contrada Alghetto, a via San Pasquale, da Margherita e Francesco Catonio.


All’anagrafe fu erroneamente registrato con il cognome Catoni, invece di Catonio, e così fu generalmente chiamato in seguito.

Fin dalla sua nascita il bambino apparve straordinariamente grande, tanto cha all’età di tre anni non si reggeva in piedi: «i vestiti e le scarpe fatti quindici giorni prima non gli stavano più bene il sedicesimo». A sedici anni era già alto due metri, e continuò a crescere fino all’età di ventiquattro anni, quando raggiunse la massima altezza di m 2,25. Oggi questa misura non sembra eccezionale, ma lo era per quei tempi,

quando l’altezza media dell’uomo era più bassa di circa 20 cm nei confronti di quella attuale, e le condizioni di vita generali non erano certo quelle odierne.

La gente attribuiva lo sviluppo straordinario del bambino al fatto che sua madre, un giorno, tornando stanca dal lavoro dei campi, si era fermata – per raccogliere le forze – davanti alla chiesa parrocchiale dei SS. Pietro e Lorenzo. Colpita dall’enorme figura di S. Cristoforo – ritratto sulla facciata principale – la donna, essendo incinta, pregò Dio e i santi protettori, S. Petronilla e S. Antonio, affinché potesse avere un figlio di così straordinarie proporzioni. Come quasi tutti i ragazzi del suo tempo, non poté frequentare le scuole, benché ad Acciano ve ne fossero, perché doveva aiutare la famiglia nel lavoro dei campi, e non imparò a leggere nè a scrivere. Restò ad Acciano fino all’età di ventiquattro anni, suscitando l’invidia dei paesani e della gente dei paesi vicini perché, lavorava il doppio degli altri.


Torre di Beffi - Acciano (AQ)

Decise di trasferirsi a Roma, e mentre passava per L’Aquila, si fece assoldare da un certo Luigi Falconi che lo mise in esposizione, a pagamento, sotto il nome di «Gigante di Acciano». Avvilito da questa esperienza, riprese il viaggio per Roma, e, per un periodo, lavorò a Civitavecchia tra gli “Scassati” – i lavoratori delle vigne.


Si racconta che, una volta, nel campo ove stavano facendo lo “scasso”, c’era un mandorlo che doveva essere spiantato. Giuseppe scommise, con alcuni amici, che lo avrebbe sradicato per una «buona mangiata di spaghetti»: si avvicinò all’albero, lo abbracciò e lo strappò dal terreno, tra la meraviglia di tutti. Terminata la giornata lavorativa, poi, il Gigante si mise il mandorlo sulle spalle e lo portò a Civitavecchia, dove a stento riuscì a farlo passare dalla porta della città. Questo fatto passò di bocca in bocca, e fu così che una compagnia di saltimbanchi lo ingaggiò, per farlo esibire sulle varie piazze d’Italia, come «fenomeno di statura e di forza».


Separatosi dalla compagnia di saltimbanchi, raggiunse Parigi, dove cominciò ad esibirsi da solo, nelle varie piazze, su palchi improvvisati.


Si racconta che un giorno i Francesi gli opposero un famoso lottatore; questi, alla vista di Giuseppe, rimase intimorito e gli offrì una forte somma di denaro, in cambio della sua vittoria. Il Gigante, smanioso e bisognoso di denaro, accettò la somma. La lotta ebbe inizio, «davanti ad un gran numero di persone accorse per la straordinaria e magnifica possanza fisica dell’atleta», e Giuseppe, fedele al patto stipulato, cedette, e il combattimento fu vinto dal transalpino, tra i fischi generali rivolti contro il Gigante.

Questa reazione del pubblico destò nell’accianese una fiammata di

orgoglio ed amor patrio, tanto da decidere di sfidare, nuovamente, il francese. Questi accettò la sfida, ed il Gigante – dopo pochi minuti di lotta – preso il rivale per una mano ed un piede, rivolto agli spettatori, disse: «Lo volete dentro o fuori il palco?». E, quando questi risposero «fuori», lo scaraventò in mezzo a loro, tra gli applausi di tutti.

Questa vittoria, ed il suo straordinario fisico, lo resero celebre, tanto che fu chiamato alla corte del re di Francia, Luigi Filippo d’Orléans, come «guardardaportone», con un favoloso stipendio.

Quando il sovrano fu detronizzato dopo la rivoluzione del febbraio 1848, Giuseppe, insieme ad una cameriera della casa reale, abbandonò la Francia, e girovagò per l’Europa «accumulando sempre più denaro con la forza che esibiva tra la meraviglia della folla».

Recandosi nella cittadina di Acciano, oltre ad ammirare preziose bellezze artistiche, è possibile visitare la casa del Gigante, sulla cui facciata principale è posta una lapide : Questa lapide è tutto quello che resta del «Gigante di Acciano». Lo scheletro è introvabile; speriamo che la memoria della sua curiosa storia rimanga viva, almeno, tra le «nostrane genti».


Giunto a Pietroburgo, allora capitale della Russia, vi restò qualche tempo e fu assunto, anche lì, come «guardardaportone» imperiale. Nel 1850, quando pensò di aver guadagnato abbastanza per vivere agiatamente, decise di tornare ad Acciano, in compagnia della cameriera francese che, però, dopo poco ritornò in Francia.

Il 31 gennaio 1860, a trentanove anni, il Gigante sposò – nella chiesa di S. Michele in Beffi – Donna Agnese Camilli, di anni ventidue, figlia di Don Vincenzo e di Donna Rosaria dei baroni Pietropaoli. La Camilli gli portò una dote di ottocento ducati, e Giuseppe, per dimostrarle affetto, le costituì «una rendita di trentasei ducati annui da pagarsi ogni sei mesi», e della cui somma la signora Agnese poté disporre, per i suoi bisogni, senza alcuna autorizzazione del marito. Dal matrimonio nacquero due maschi e quattro femmine. Il primo

ottobre 1860 acquistò, per 450 ducati, «una casa di dieci vani», sita in contrada “Piazza”. Successivamente, acquistò da Lorenzo Galli «la casa sopra la fonte», di dodici vani, dove abitò fino alla fine dei suoi giorni: «trascorse la vita insieme ai suoi famigliari, vivendo agiatamente con la rendita dei terreni acquistati e dati in fitto alla povera gente del paese, e con gli interessi sui mutui che concedeva a chi gliene faceva richiesta».


Quando fu più anziano, e si ritenne che il Gigante non avrebbe vissuto per ancora tanto tempo, inglesi, francesi e italiani se lo contesero, offrendo ai figli forti somme di denaro «per averne il corpo dopo la morte e studiarne la possanza fisica».

Forse perché l’offerta del governo italiano fu maggiore, forse perché spinti dall’amor patrio e dalla possibilità di visitare il suo scheletro, i famigliari accettarono l’offerta italiana che, secondo quanto si racconta, fu di lire cinquemila. Aveva settant’anni, il «Gigante di Acciano», quando fu colpito da una grave polmonite che lo porto alla morte, l’8 marzo 1890. Della sua morte fu subito informato l’ospedale Policlinico Umberto I di Roma, e furono inviati in Acciano i professori di Anatomia Umana, Dott. Versari e Dott. Michele Giuliani, che disposero l’immediato trasferimento della salma all’Ospedale Civile S. Salvatore de L’Aquila, dove fu portata dalla Guardia Forestale con un carretto trainato da due cavalli neri. Qui fu scarnificato dal Dott. Versari, ed il suo scheletro fu portato a Roma, nell’Istituto di Anatomia Umana Normale.

Lo scheletro di Catoni fu studiato e relazionato dal Dott. Michele Giuliani che, dopo accurata analisi, così scrisse: « […] fra gli scheletri dei giganti fino ad ora studiati, quello di Giuseppe Catoni occupa il decimo posto; fra gli scheletri di giganti italiani, finora descritti, di superiori a quello del Catoni ve ne hanno due, l’uno di tal Giovanni Bona da Trento (m 2,22), e l’altro dell’Anconitano (m 2,23). L’altezza assoluta dello scheletro del gigante Catoni, che si ottiene – alla maniera degli antropologi – sottraendo cm 3 da quella del cadavere (m 2,22), è di m 2,19. Dobbiamo osservare, però, che quando il Catoni morì, a causa della vecchiaia, era già sceso a m 2,22, per cui, se fosse morto in età più giovane, l’altezza assoluta sarebbe stata di m 2,22 e, quindi, al secondo posto col detto Giovanni Botta. Mi piace inoltre ricordare l’età assai avanzata alla quale giunse il Catoni: tutti i giganti dei quali si ha notizia, infatti, sono morti per lo più in età assai giovane; più vecchio del Catoni non è ricordato che un soldato prussiano il quale visse fino ad 86 anni. Infine, mi sembra degno di osservazione come il Catoni appartenesse al numero, finora assai ristretto, di “giganti atleti”, poiché dotato di una perfetta ed armoniosa corporatura e di una prodigiosa forza muscolare, al contrario di quasi tutti gli altri giganti conosciuti che erano di grande altezza, ma di esile ed emaciata struttura fisica».


Lo studio dello scheletro del «Gigante di Acciano» contribuì in maniera determinante – come si legge nella relazione del Dott. Giuliani ­– allo sviluppo della ricerca sulla macrosomia, ma, ironia della storia, dopo tante ricerche effettuate, lo scheletro di Giuseppe Catoni è, ancora oggi, introvabile.